Brutto e cattivo by Raffaele Capperi

Brutto e cattivo by Raffaele Capperi

autore:Raffaele Capperi
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788851196325
editore: De Agostini
pubblicato: 2021-09-16T00:00:00+00:00


Lo sport

Per molte persone l’indifferenza è una brutta cosa. Per me, invece, per il Raffaele bambino e quello adolescente, passare inosservato era il più bello dei regali.

Se nessuno mi notava, voleva dire che ero normale. Quasi normale.

Oppure che quella gente era abituata alla diversità e non la giudicava.

Questa cosa mi succedeva solo nelle grandi città, dove le persone hanno altro a cui pensare e vedono continuamente cose nuove. Lì mi trovavo bene ed è così anche oggi.

Nei paesini, invece, non essere notati è praticamente impossibile.

*

Monticelli d’Ongina è un paesino minuscolo e segue le regole dei paesini minuscoli, senza eccezioni. La diversità lì si nota.

Se alcune cose erano ormai così abituali da sparire inghiottite nell’invisibilità (come la signora che porta fuori il cane sempre alla stessa ora), io ero sempre e comunque un cartello catarifrangente che catalizza tutte le attenzioni.

A Monticelli d’Ongina sembrava impossibile abituarsi al mio aspetto differente.

Forse perché il disabile, volente o nolente, lo noti sempre, lo guardi e gli parli, magari perché ti fa tenerezza, o pena.

Puoi anche essere in buona fede, ma è comunque un modo che fa sentire diversi.

Anche gli amici cari, a volte, tra una parola e l’altra, si lanciavano in affermazioni che davvero mi buttavano giù il morale.

«Dai, Gnaffo, c’è di peggio.» Gnaffo è sempre stato il mio soprannome.

«Fai sempre la vittima.»

«Dai, ma come sei paranoico!»

Era il loro modo di farmi capire che mi stavano vicini, che potevo superare tutto. Che ero altro, oltre a questa faccia.

Però non c’era, in quelle frasi, un vero tentativo di mettersi nei miei panni.

O per lo meno, io non l’ho mai sentito.

È normale, è praticamente impossibile immedesimarsi con il diversamente abile.

Ci vuole un’enorme capacità empatica, e un sacco di coraggio.

La vera indifferenza io l’ho trovata nello sport.

Mi spiego meglio perché così suona male.

L’indifferenza è quando la gente non ti nota, quando ti parla come parlerebbe a chiunque altro, quando ti guarda come guarderebbe chiunque altro.

Ecco, io ho sempre desiderato incontrare l’indifferenza, e l’unico posto in cui l’ho trovata è stato lo sport.

In quegli anni in cui dovevo continuamente cambiare scuola, lo sport mi ha regalato il rispetto e l’uguaglianza. Per cinque anni ho giocato a calcio e non ero un disabile, non ero un ragazzo nato senza orecchio, senza mento, con la voce nasale, sotto il segno zodiacale di Treacher Collins. Ero solo Raffaele

Ho cominciato nei pulcini, poi sono passato agli esordienti, ai giovanissimi e infine agli juniores. Ho indossato anche la fascia di capitano: una fascia che ho sudato e stretto al braccio con grande orgoglio perché l’avevo ottenuta sul campo per le mie qualità, non l’avevo ricevuta per compassione.

Giocare a calcio mi ha reso libero e felice. Avrei continuato per sempre.

Quando però è arrivato il nuovo mento ho deciso di rallentare e smettere di correre sul campo.

Il contrasto, una gomitata, una caduta, potevano distruggere ciò che stavo costruendo e ciò che volevo diventare e ho dovuto smettere.

Ma quanto mi piaceva ricevere dosi di indifferenza in quelle partite!

L’indifferenza dovrebbe essere insegnata a scuola. Come tecnica da applicare per rispettare le persone.



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